Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

sabato 14 febbraio 2009

Una città in cerca d'identità


Ci vogliono temi di grande spessore per fare svegliare la città dal suo stato di sonnolenza, e l’argomento introdotto da Tonino Salvo e ripreso con raffinatezza di contenuti da Tonino Cusumano e da Piero Di Giorgi scuote la sensibilità di ciascuno di noi. Il dibattito sul progetto per la realizzazione di un porticciolo turistico dirimpetto il lungomare di Mazara ( di fronte alla Cattedrale? ), non può passare sotto silenzio e restare inascoltato, “anche se così sarà”. La posizione di Tonino Cusumano è condivisibile in quella parte in cui sviscera tutta quella tensione morale e quella cultura della memoria connaturata nell’etica e nell’estetica da troppo tempo estranea a questa collettività. Infatti, da tempo si assiste al deturpamento del profilo della città, che attraverso una cementificazione incontrollata ed asfissiante, ha spazzato via un patrimonio paesaggistico incommensurabile. Basti ricordare la scomparsa della magnifica visione delle cupole della Cattedrale che affascinava chi entrava in città da est, proveniente da Castelvetrano. La nostra generazione non può tirarsi fuori dalla responsabilità di avere delegato al governo della città politici che si sono dimostrati inadeguati e impreparati ad affrontare problematiche serie e di grande prospettiva, i quali hanno sacrificato e sostituito l’estetica con la bruttura, la sobrietà con l’appariscenza, l’armonia con la dissonanza, l’eleganza con la sciatteria, la diligenza con la mediocrità, la cultura con l’oscurità. “La cultura, scriveva Scalfari, non è una caratteristica elitaria, riservata a poche persone, teste d’uovo o anime belle. Uomini che ne siano privi, pur potendo compiere imprese egregie, non possono guidare una comunità senza provocare guasti assai gravi.”

In questa città è successo e succede! L’incuria del territorio, conseguenza di tale inadeguatezza, lo ha privato di identità, ne ha cambiato la fisionomia, ha offuscato la memoria dei suoi abitanti ai quali è stata negata quel che la natura ha loro donato: la capacità di godere e meravigliarsi del bello. Oggi, le piazze, le vie, la villa comunale, sono deturpati da oggetti alieni che sotto forma, inizialmente, di tavolini e ombrelloni sono stati trasformati in gazebo, in trattorie, pizzerie, cafè hours, wine-bar, giostre. Per non parlare delle schiere di pagode con stand pieni di paccottiglie, di oggetti inutili, dozzinali, da modesto mercatino rionale che con cadenza ciclica invadono le piazze storiche, la villa e il lungomare. Lo spazio pubblico è diventato sempre più limitato e inaccessibile: vero paradigma del disamore della politica (solo della politica?) verso la città. Tutto è stato consumato in presenza di una comunità apparsa in catalessi, incapace di indignarsi persino di fronte al vandalismo imperante o dinanzi all’afrore dei rivoli di piscio che ammorbano le vie del centro storico. Siamo stati quasi indotti a modificare il concetto di bellezza in funzione di ciò che ci è stato detto di vedere al fine di privilegiare il beneficio rispetto all’estetica, e non ci siamo accorti, pur essendone testimoni consapevoli, che questa città da “ Inclita” si stava trasformando lentamente, purtroppo, in una Lilliput. Il lungomare rimane ancora uno dei luoghi più incantevoli di questa città, dove si possa ancora esercitare la fantasia, spaziare oltre i confini dell’orizzonte, godere dell’elegante volo dei gabbiani o dell’incanto dei suoi spettacolari tramonti. ” Ora si vuole strappare allo sguardo dei mazaresi quel mare che ha sempre accompagnato la traiettoria del loro tempo, la dimensione infinita dello spazio. “ scrive Tonino Cusumano, e ancora:”.. una barriera di fortissimo impatto irrimediabilmente posta tra la città e il mare, una violenta cesura nella trama del paesaggio e nello specchio di luce, una ferita nel cuore di chi guarda e cerca l’orizzonte”. In queste poche e belle parole vi è la storia del rapporto che noi abbiamo con questo mare. Tutto questo, però, che fa parte della sensibilità soggettiva, “geografia dell’anima” come la definisce Piero Di Giorgi, può costituire una eredità vincolante per le nuove generazioni? Per meglio intenderci: possiamo imporre alle future generazioni sensibilità e percezioni ( le nostre ) che forse saranno diverse dalle loro sensibilità e percezioni? Oppure queste sensibilità, che possono essere condivise, devono servire da stimolo per costruire una nuova cultura, che veda la trasformazione del paesaggio in armonia con le reali esigenze della collettività e in funzione delle dinamiche socio culturali di cui la collettività stessa è soggetto attivo? Alla prima domanda la risposta è no, e dello stesso orientamento sono i grandi architetti, urbanisti e sociologi. Non abbiamo nessun dovere di vincolare le future generazioni al nostro concetto di estetica; se così fosse, tutto resterebbe immutabile, innaturale. La stessa natura non si attiene al principio etico della conservazione, essa non ha emozioni, non prescrive norme morali. A mio parere la collettività non può sottrarsi ai processi di intervento su parte del paesaggio per non rischiare di restare isolata ed esclusa dai flussi turistico culturali verso i quali intende indirizzare il futuro della città. La risposta alla seconda domanda è gia contenuta nel quesito stesso e non può non essere che affermativa, a condizione però che si avvii un processo che abbia come fine l’acquisizione di una identità, che purtroppo, tuttora manca e che si abbiano chiari gli obiettivi che si vogliono raggiungere, e attraverso quali percorsi. Sta all’uomo fare ciò che ritiene sia utile e giusto per la collettività ma che non ne violenti la sensibilità. Non è esclusiva della natura plasmare il paesaggio, esso è ciò che l'uomo fa e ciò che dell'uomo momentaneamente resta, come tale è sempre in dinamica trasformazione. Tuttavia l’opera dell’uomo non può essere arbitraria; essa non può prescindere dal paesaggio offerto dalla natura e deve armonizzarsi quanto più possibile con esso. Piero Di Giorgi, in maniera chiara espone considerazioni convincenti sulla bontà del progetto oggetto della discussione come: “ la sua organizzazione spaziale si combina con il waterfront della città valorizzandone le valenze storico-culturali” e ancora: “ a me pare che il progetto non cancelli la vista dell’orizzonte ma neanche del mare più vicino”, per poi concludere:” almeno quel progetto bonifica quel paesaggio, lo rende più pulito e piacevole”. Come si fa a non condividerle? Poiché non si può entrare nel merito tecnico, sorge spontanea la domanda:” Perché proprio lì, in quel posto, e non in un’altra parte forse più idonea per caratteristiche intrinseche e logistiche e sicuramente più protetta dalle intemperie meteo-marine? Obiezioni legittime che però non tengono conto del fatto che già il lungomare è in trasformazione, che la futura passeggiata è destinata, a breve, ad allungarsi verso est fino alla chiesetta di S.Vito, che in questo modo una maggiore angolazione prospettica e uno spazio più ampio usufruibile, consentiranno di poter godere con maggiore intensità dello spettacolo dei colori e delle sensazioni che la natura sa offrirci, permettendoci di allungare ancor più lo sguardo verso l’orizzonte, per restare nel tema della “ geografia dell’anima”. Destinare la parte iniziale del lungomare ad un porticciolo turistico non costituirebbe un problema di impatto ambientale, nè una “cesura” nella trama del paesaggio. Tale cesura esiste già ed è rappresentata dalle dighe foranee e dai loro lunghi bracci ( vedi foto ). Al contrario, il porticciolo turistico renderebbe più vivo questo specchio d’acqua e più appetibile la città; il porticciolo sarebbe il volano per la valorizzazione artistico culturale dell’intero territorio, costituirebbe il rilancio della sua asfittica economia, costituirebbe un motivo in più per aprirci agli altri, uscire dallo stretto guscio in cui ci siamo rinchiusi ed incominciare a confrontarci con gli altri.. Solo così potremo sentirci intimamente connessi con un Mediterraneo dove, come scrive Predrag Matvejevic :” popoli e razze hanno continuato per secoli a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri, come forse in nessuna altra regione del pianeta “ .

L.T

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